Cosa vi serve sapere: una coalizione di antichi dei africani caduti in disgrazia ha deciso di prendersi la rivincita sul dio Pantera adorato in Wakanda ed ha concepito un elaborato piano per eliminare T’Challa, sovrano del Wakanda e Pantera Nera in carica, e precipitare la sua nazione nel caos.

T’Shan, cugino di T’Challa è stato rapito e sottoposto ad un rituale magico. Apparentemente morto in un incidente aereo, è tornato in vita superforte e quasi invulnerabile. Dopo aver rapito Monica Lynne, la promessa sposa di T’Challa, lo ha sfidato ma prima che lo scontro finisse misteriosi tentacoli neri spuntati dal nulla hanno avviluppato T’Challa trascinandolo nel regno dei morti del malefico dio Iena dove immonde creature a forma appunto di iena si sono divertite a tormentarlo, ma il Vendicatore africano si è liberato e combatte forse senza speranza ma senza arrendersi. Nel frattempo T’Shan è giunto nella capitale di Wakanda per reclamare il trono in virtù del diritto di sfida ma suo padre ed i suoi cugini Shuri, Khanata e Joshua Itobo hanno contestato il suo diritto e lo hanno a loro volta sfidato. Nell’arena, prima dell’inizio della sfida TShan ha svelato di essere posseduto dallo spirito del temibile dio Leone.

 

 

 

Carlo Monni & Carmelo Mobilia

(da un’idea di Fabio Chiocchia)

 

Capitolo 7

 

L’arena

 

 

New Orleans.

 

Il Tipitina Club non era un comune locale notturno. Tanto per cominciare, in quale altro locale il buttafuori era uno zombie, un nero gigantesco che qualche buontempone aveva ribattezzato Garth?  Nessuno sapeva dire esattamente da quanto fosse aperto il Tipitina, lì nel pittoresco Quartiere Francese, ma tutti coloro che ne avevano interesse sapevano una cosa: era un luogo magico nel vero senso del termine.         

Buona parte della clientela e degli artisti che si esibivano al Tipitina erano infatti praticanti delle arti occulte o esseri soprannaturali essi stessi che si divertivano a scendere ogni tanto tra i mortali. Di una sola regola ferrea non era ammessa trasgressione: il Tipitina era un luogo neutrale ed i conflitti tra i suoi ospiti dovevano restare fuori dalle sue mura.

I due che sedevano ad un tavolo d’angolo potevano sembrare due comuni clienti ma un occhio esperto avrebbe subito capito che non era così. Erano entrambi neri. Il primo indossava un impeccabile smoking nerissimo, la sua pelle aveva il colore dell’ebano, aveva un fisico muscoloso ma snello ed elegante ed un portamento regale, i suoi occhi erano insolitamente verdi e le iridi sembravano risplendere nella sala illuminata solo da luci soffuse. Davanti a lui stava un uomo allampanato che Indossava un completo blu gessato, aveva una bombetta sulla testa, occhiali tondi e fini ed un paio di eleganti guanti viola alle mani. Un abbigliamento che avrebbe potuto suscitare risate di scherno ma la quasi totalità dei presenti sapeva che non sarebbe stato il caso, si poteva correre il rischio di ritrovarsi trasformati in un insetto. Dietro la sua aria amabile l’uomo allampanato poteva essere molto cattivo… o semplicemente divertirsi in modi che le vittime dei suoi scherzi non avrebbero sempre apprezzato.

<E questo è tutto per ora.> disse.

<Hai inviato tu Maisha dal Lupo Bianco?> chiese il suo interlocutore

<Oh no, quella dispettosa ragazzina ha fatto di testa sua, non che la biasimi s’intende. Anch’io faccio spesso di testa mia.>

<Poche chiacchiere e continua quello che hai da dire.>

<Quanto sei impaziente! Credevo che voi felini conosceste la virtù dell’attesa. Se permetti, mi prendo un altro Bourbon. Narrare mi mette sempre sete.>

L’ometto fece un gesto ad una cameriera che arrivò prontamente.

<Grazie dolcezza.> disse.

Fatta la sua ordinazione l’ometto accavallò due delle sue quattro gambe, fece un sorriso sornione e disse:

<Dove eravamo rimasti?>

 

 

Altrove.

 

T’Challa combatteva contro nemici quasi impossibili da vincere, ma non voleva saperne di arrendersi: per carattere e formazione, quella era un’opzione che non prendeva in considerazione.

La situazione però era disperata: scheletri di antichi guerrieri africani e iene spettrali lo circondavano e sembravano non finire mai. Il costume era lacerato, le forze gli venivano a mancare, ma se doveva morire in quel luogo, in quel giorno, sarebbe morto combattendo.

Elargiva pugni e calci come un indemoniato, poi s’impadronì della lancia di uno degli scheletri usandola con estrema destrezza, e si poteva dire che stava vendendo la pelle a caro prezzo, ma era solo questione di tempo prima che le forze oscure prevalessero. Dopotutto, per quanto forte, era un uomo, e gli uomini hanno dei limiti.

Combatteva quasi per inerzia, senza riflettere, quando all’improvviso, in quel posto infernale udì una voce familiare:

<Pensi di continuare a lottare in eterno?>

A parlare era un ometto piccolo che T’Challa aveva conosciuto diversi anni prima.[1]

<Mokadi!> esclamò.

Non era mai riuscito a capire se quel tipo fosse un saggio pigmeo o uno spirito della giungla, ma la sua presenza lì suggeriva la seconda opzione... oppure era frutto della sua immaginazione?

Stava ormai delirando? La follia forse indotta dal gas Ndoto lo aveva portato ad avere altre allucinazioni?

<Che ci fai qui?>

<Secondo te cosa ci faccio?>

<Sei in grado di aiutarmi?>

<Sarei qui se non lo fossi?>

<Non parlarmi per enigmi! Se puoi, fallo!> disse, colpendo con la lancia l’ennesima fiera che gli si era avventata contro.

<Guarda quella fessura nella montagna, tra quelle rocce... non ti sembra una via di fuga perfetta? Ci passa un solo uomo per volta.>

<Dove mi porterà?>

<Importa davvero? Non conta andarsene di qui?>

Come l’altra volta quell’irritante nanerottolo non diceva nulla di utile, però gli aveva indicato quella che poteva essere davvero una via di fuga.

Raccogliendo le sue ultime forze T’Challa si diresse verso quella feritoia fra le rocce indicatogli da Mokadi: era molto stretta, solo lui, con la sua agilità ed elasticità riusciva a passarci attraverso, le iene infernali non ci riuscivano

Usò comunque la lancia per far crollare alcune rocce e sigillare l’entrata.

T’Challa abbandonò quel luogo infernale diretto verso l’ignoto.

 

 

Wakanda.

 

T’Shan si era ormai rivelato come l’avatar umano del dio Leone, che lo aveva potenziato con il suo potere rendendolo quasi invincibile. Aveva indossato un costume nero dalla maschera leonina e con quello addosso aveva sfidato i pretendenti al trono in un duello per decidere chi aveva il diritto di governare il Wakanda.

<Allora, venite e provate a sconfiggermi: se vincerete, la corona sarà vostra! Avanti! Vi sto aspettando! Uno alla volta o tutti insieme per me è indifferente!> gridò spavaldo, inebriato dal suo stesso potere.

I suoi contendenti erano quattro membri della famiglia reale del Wakanda:

Khanata, noto corridore di auto sportive; Joshua Itobo, medico celebrato; Shuri, sorella del legittimo re T’Challa, e addirittura l’anziano ma ancora atletico S’Yan, zio di T’Challa nonché padre di T’Shan stesso.

Tutti e quattro per l’occasione indossavano delle varianti del celebre costume di Pantera Nera.

<I quattro Moschettieri Neri... siete patetici!> li schernì T’Shan <Un vecchio, una ragazza, un secchione mingherlino e un pigro e viziato snob... non meritereste neppure la perdita di tempo, ma il popolo ci tiene alle proprie tradizioni, e non voglio certo essere io a privarli di esse, per cui diamo pure inizio a questa inutile cerimonia!>

<Vado avanti io...> disse Khanata.

Era il più atletico dei tre, per i suoi trascorsi da calciatore e la preparazione da pilota.

T’Shan non sapeva che, dopo l’ultima volta in cui era stato costretto a combattere in circostanze simili a quelle di oggi, Khanata aveva preso anche lezioni di combattimento.

Si fece sotto sferrando una sequenza di jab che l’avatar del dio leone schivò senza problemi.

<Notevole. Non lo credevo... hai fatto qualcosa di più che tenere in mano un volante, vedo.> disse T’Shan.

Distratto dai progressi del cugino non notò come, silenziosamente, suo padre gli fosse arrivato alla spalle e, compiendo un balzo, lo colpì con entrambi i piedi alle spalle, portandolo alla portata dei pugni di Khanata.

Uno di questi lo prese di striscio e gli lacerò la pelle.

<ARGH! Ma cosa...>

Tra le bende che gli coprivano i pugni Khanata aveva messo schegge di vibranio taglienti.

<Astuto. Non me lo immaginavo, cugino...>

<Non è l’unica sorpresa che avrai oggi!> disse Joshua Itobo, assalendolo alle spalle.

Le bende delle sue mani, invece, erano pregne di un potente narcotico: gliele pose su naso e bocca, facendoglielo respirare.

<Ragazzi, adesso!> urlò il ragazzo, mentre suo zio e i suoi due cugini gli si facevano sotto.

S’Yan gli bloccò un braccio, Shuri lo colpì con un calcio, Khanata affondò i suoi pugni, e per un momento T’Shan fu preso alla sprovvista.

I Moschettieri neri, agendo come un sol uomo, stavano vincendo.

<ORA BASTA!> gridò T’Shan, liberandosi con un braccio solo del giovane Joshua, scaraventandolo contro i cugini.

Afferrò suo padre per la gola e lo sollevò da terra con facilità. Shuri si riprese in fretta, colpendolo con un calcio volante e liberando così lo zio dalla presa.

<Che diavolo stavi per fare? È tuo padre!> disse la ragazza.

<No... non lo è più, sempre che lo sia stato... se si mette contro di me, patirà la stessa sorte dei miei nemici!> esclamò T’Shan.

Tra la folla un uomo osservava in silenzio l’incontro. Dopo aver visto questa scena, l’uomo si alzò e si diresse verso il palazzo reale dove, nelle sue stanze preparò un bagaglio.

<Ti stai preparando per la fuga, Jiru?> a parlare era stato N’Gassi, il primo ministro wakandano.

<L’incontro è ormai deciso. T’Shan vincerà.> rispose cupo il suo fedele assistente.

<E allora lo combatteremo! Non ci sottometteremo a lui! Dobbiamo restare uniti, in quest’ora buia, non fuggire come un branco di vigliacchi!>

<Le mie scuse, maestro, se le mie azioni possano aver dato quest’impressione.> rispose Jiru, in modo calmo <Non erano queste le mie intenzioni. Mi sono limitato a osservare il combattimento, e T’Shan non si può battere con una semplice preparazione da guerrieri... se così fosse, mi sarei offerto io stesso per il combattimento. No, l’ho guardato bene, e possiede un potere al di sopra della forza degli uomini. Per batterlo occorre far ricorso a un potere superiore, e forse io so dove posso ottenerlo.>

Senza che nessuno glielo avesse ordinato, Jiru stava già programmando una controffensiva per il bene del Wakanda.

N’Gassi si sentì mortificato per quanto detto poco prima.

<Le mi scuse Jiru, avevo frainteso. Tu sei il meglio che la nostra cultura può produrre.>

<Il mio maestro non si deve mai scusare con me> disse Jiru, abbracciandolo < Tornerò qui per servire la causa del Wakanda. Troverò il potere necessario per poter affrontare T’Shan e il maleficio che lo possiede. Abbia fiducia in me, maestro.>

Jiru abbandonò lo stanza, mettendosi il viaggio.

Se solo avessi sangue reale, che grande Pantera Nera saresti stato...” pensò di lui N’Gassi nel vederlo partire per la sua ricerca.

 

 

Luogo sconosciuto in Africa.

 

Raoul Bushman era un uomo dal fisico eccezionale, sebbene non a livelli superumani.

Si era ripreso rapidamente dagli effetti del gas che aveva usato il commando che aveva assalito il furgone che dalle prigioni dell’Aia lo stava portando al palazzo della Corte Penale Internazionale per il suo processo, ma aveva preferito continuare a fingersi svenuto.

Non sapeva chi lo avesse prelevato o perché e se c’era una cosa che aveva imparato fin dai tempi in cui era a capo di una brigata di mercenari era che è essenziale conoscere il nemico ed il campo di battaglia prima di agire.

Tutto quello che sapeva era che si trovava su un mezzo volante molto veloce, quasi certamente supersonico, e che i suoi nuovi guardiani non indossavano divise identificabili e parlavano tra loro in Swahili. Africani, dunque, e gli parve di riconoscere l’accento di alcuni di loro, cosa che lo mise in allarme.

Negli anni Bushman aveva sviluppato un notevole senso dell’orientamento e da un calcolo approssimativo aveva dedotto che l’aereo stava tenendo una rotta compatibile con una destinazione africana e si era anche fatto una certa idea di quale. Gli restava da capire se lo avevano portato via dai Paesi Bassi per liberarlo o per infliggergli una punizione più dura di quella che gli avrebbero dato i giudici? Lo avrebbe scoperto presto.

L’aeronave iniziò le manovre d’atterraggio e Bushman decise che era il momento di terminare la commedia.

Sciolse i nodi che lo legavano, si alzò di scatto dalla sua brandina e colpì l’uomo davanti a lui con una testata sul naso, privandolo poi della sua arma.

<Il prigioniero è sveglio!> fece in tempo a gridare uno degli altri, prima che il prigioniero gli spezzasse il collo.

Ucciso il primo, Bushman si avventò verso gli altri e in men che non si dica, attorno a lui ci furono solo cadaveri.

Raggiunse rapidamente la cabina di pilotaggio a fucile spianato, ma quando aprì la porta notò che non c’era nessun pilota da minacciare o assassinare, ma la navetta che lo ospitava era controllata da terra.

<Merda...> imprecò nel constatare ciò, poi si mise ai comandi, sperando di invertire in qualche modo la rotta, ma inutilmente.

<<Non puoi prendere il controllo del mezzo. Ti suggerisco di restartene buono fino all’atterraggio.>> disse una voce alla radio.

<Chi sei?> chiese Bushman.

<<Lo scoprirai presto.>> si limitò a rispondere l’altro.

La navicella atterrò dunque senza altre interruzioni.

Bushman aprì il portellone impugnando il fucile.

Ad accoglierlo c’era una squadra di soldati che a loro volta gli puntavano contro le loro armi.

<Non sparare. Abbassa la tua arma. Non sono tuo nemico.> disse un uomo.

Bushman lo osservò: era un africano che indossava un’uniforme militare da campo, con un basco rosso e dei vistosi occhiali da sole.

Alzò il suo braccio sinistro in segno di saluto, e Bushman non potè non notare come questo non fosse altro che una grossa appendice cibernetica.

<Benvenuto nel Mbangawi. Io sono Joshua N’Dingi, conosciuto anche come ....>

 <Dottor Crocodile!> lo interruppe Bushman, riconoscendolo.

<Proprio così. Ho un importante offerta da farti, Bushman, e credimi, farai meglio ad ascoltarla: ti piacerà.>

 

 

Wakanda.

 

Il Lupo Bianco camminava nella jungla, e già questo di per se era un grande successo: era sopravissuto alla terribile caduta dalla rupe grazie al suo speciale costume in fibra di vibranio, ma ora questi era ridotto a brandelli e i suoi gadget erano quasi tutti fuori uso.

Era ferito e affamato, ma era ancora vivo, e questo particolare sarebbe costato caro a T’Shan.

Lo avrebbe fatto pentire di non essersi accertato della sua morte.

Era un bianco, ritrovato poco più che neonato tra i resti di un disastro aereo di cui, per miracolo, era l’unico sopravvissuto. Re T’Chaka l’aveva adottato ed amato come se fosse davvero suo figlio e l’aveva chiamato K’Winda, che in wakandano significava cacciatore.  Restava, però, pur sempre uno di fuori e per giunta bianco e per questo era discriminato da molti, ma si sentiva wakandano al 100 % proprio come chiunque altro, come il suo fratello adottivo T’Challa ad esempio, o come il loro padre, e avrebbe fatto qualunque cosa, anche dare la vita, per il proprio paese.

Forse lui e suo fratello avevano idee molto diverse su come avrebbe dovuto essere governato il Wakanda, ma era anch’egli un membro del Clan Pantera, e che fosse dannato se avrebbe permesso a qualche usurpatore di sedersi sul trono reale.

La misteriosa Maisha gli aveva rivelato l’identità del nemico e adesso sapeva chi combattere.

Prima che T’Challa la sciogliesse lui era il capo degli Hatut Zeraze, la temibile polizia segreta del Wakanda, e sapeva bene che c’erano ancora diversi dei suoi ex uomini a lui fedeli.

Insieme a loro si sarebbe organizzato e avrebbe scacciato via gli invasori.

Mentre stava facendo queste riflessioni, udì dei rumori venire in sua direzione.

Si nascose nella folta vegetazione per vedere di chi si trattasse senza essere visto.

Si accorse che si trattava di alcune Dora Milaje che scortavano dei fuggiaschi. A capo di esse riconobbe un volto familiare, quello di Okoye.

K’Winda sentì il suo cuore rasserenarsi alla loro vista, e uscì dal suo nascondiglio.

<Okoye!>

<Hunter, il Lupo Bianco! Credevo fossi morto, che T’Shan ti avesse ucciso.>

<C’è mancato poco in effetti, ma come puoi vedere, sono duro da ammazzare. Ma ragguagliami: cos’è successo? Perché state fuggendo?>

<Il diavolo si è stabilito in Wakanda. T’Shan... che adesso si fa chiamare il Leone Nero, ha sfidato in combattimento tutti i membri della famiglia reale e ha vinto. Li ha battuti tutti. Ora si è installato a palazzo reale e ha ordinato di catturare e sopprimere qualunque sostenitore del clan Pantera.>

<Quel bastardo...> imprecò K’Winda.

<Si, e non solo: nella capitale si stanno già preparano esecuzioni di massa per gli oppositori che hanno catturato.>

<Non accadrà Okoye, te lo assicuro. Ho già in mente un piano per liberarli.> la rassicurò il Lupo Bianco.

 

 

Capitale del Wakanda ore prima.

 

Jiru aveva avuto ragione: Shuri aveva lottato con tutta se stessa ma era stato inutile ed aveva seguito la sorte dei suoi tre cugini.  Nonostante il loro coraggio ed il loro valore, i quattro membri del Clan della Pantera ora giacevano ai piedi di T’Shan privi di sensi.

Dalla sua gola uscì un grido di trionfo che assomigliava ad un ruggito.

Con passo fermo si avvicinò al palco reale e si rivolse alla Regina Madre Ramonda ed agli altri membri del Clan Pantera al suo fianco.

<Ho vinto!> proclamò <Siete pronti a riconoscermi come vostro sovrano?>

Ci fu un lungo silenzio rotto dalla voce possente del massiccio Ishanta:

<Mai! Conosco T’Shan da quando è nato e tu non sei lui, ne hai solo il guscio e vesti le insegne del perfido dio Leone che è nemico del dio Pantera dall’alba dei tempi. Non hai il diritto al trono né ora né mai.>

<Ishanta parla anche per me.> disse la matronale Zuri.

<E per me.> aggiunse con voce grave Ramonda.

<E sia.> replicò con voce grave T’Shan <Vi avevo offerto un’opportunità di sottomettervi a me pacificamente ma avrei dovuto sapere quanto sapete essere ostinati. Tanto peggio: avverrà lo stesso ed il prezzo sarà il sangue.>

Non appena ebbe finito di parlare alzò la mano destra ed a quel gesto gli uomini con le maschere da leone cominciarono a battere sui loro tamburi.

<Vigliacco!> esclamò Zuri balzando giù dal palco. Il vecchio guerriero dai lunghi e cespugliosi capelli sembrava uscito da un’altra era, vestito com’era di una pelle di leone e con in pugno una zagaglia, ma chi lo conosceva bene sapeva che il vecchio amico del defunto Re T’Chaka nonostante il suo aspetto ed i suoi modi pittoreschi non andava sottovalutato.

<Il primo sangue a scorrere sarà il tuo!> disse ancora.

Il Leone Nero lo fissò e con voce calma replicò:

<Se ci tieni tanto, vecchio, colpiscimi con la tua lancia.>

Zuri non se lo fece ripetere ed affondò la sua arma nel petto del suo avversario trapassandolo da parte a parte. L’uomo con la maschera da leone scoppiò ancora a ridere ed afferrò la lancia strappandosela di dosso poi la usò per colpire Zuri che rovinò a terra.

<Nulla e nessuno può ferirmi od uccidermi adesso.> affermò.

I presenti sul palco reale sentirono un brivido correre lungo le loro schiene.

Il suono dei tamburi divenne sempre più forte ed assordante. Dalla jungla che circondava la capitale emersero uomini armati che portavano le insegne della iena e del leone e lanciando grida spaventose sciamarono nella capitale.

W’Kabi, Ministro della Difesa di Wakanda e vecchio amico di T’Challa, non amava molto la tecnologia ma era abbastanza pragmatico da servirsene. Usando il microfono incorporato nel braccio bionico che era costretto ad usare da quando il suo braccio sinistro aveva dovuto essere amputato a causa di una grave ferita, ordinò la mobilitazione generale di tutte le forze armate della Nazione poi si rivolse alla comandante delle Dora Milaje:

<Sai cosa fare.>

<Proteggeremo la Famiglia Reale fino alla morte.> proclamò Ayo con risolutezza calandosi sul volto l’elmo della sua speciale armatura da battaglia.

 

 

New Orleans. Adesso.

 

<Tutto questo è intollerabile!> sbottò l’uomo in nero mentre i suoi occhi verdi brillavano nella semioscurità del Tipitina Club <Il Leone e la Iena hanno violato gli antichi patti e tu hai collaborato con loro. Dovrei schiacciarti come l’insetto che sei.>

L’ometto vestito di blu fece un lungo sospiro poi replicò:

<Innanzitutto, casomai sono un aracnide e non un insetto e poi non sono mai stato parte del complotto anche se ammetto di aver dato qualche piccolo consiglio ai congiurati.>

<Perché?>

<Perché tu eri troppo tranquillo nella tua piccola nicchia, felicemente adorato dai tuoi seguaci mentre noi altri che eravamo venerati nel resto dell’Africa siamo ormai ridotti all’ombra di ciò che eravamo. Dovevi avere una lezione… e poi, una sana discordia ogni tanto è salutare, come direbbe il mio amico Loki.>

<Ti stai divertendo.>

<Un pochino, lo ammetto, ma torniamo a parlare del tuo amato Wakanda Se non sbaglio, eravamo rimasti al momento in cui T’Shan, autoproclamatosi Leone Nero, ha dato il via all’invasione da parte delle truppe a lui fedeli. Un bel momento drammatico, non trovi?>

Il suo interlocutore rimase in un cupo silenzio.

 

 

Wakanda, poche ore prima.

 

Le milizie con le insegne del dio Leone e del dio Iena avevano atteso il segnale e quando lo udirono i comandanti dei vari reparti dettero l’ordine di attacco. Fu un’azione coordinata e simultanea in vari punti strategici della piccola nazione africana.

Le Forze Armate wakandane erano piccole ma disponevano di armamenti all’avanguardia e nonostante la sorpresa avrebbero quasi certamente prevalso conto gli aggressori se questi fossero stati esclusivamente umani.

Ad accompagnare gli invasori, però, c’erano anche leoni e iene. Che non fossero comuni animali lo si capiva già dalla loro stazza, almeno doppia rispetto al normale, ma divenne ancor più evidente quando i militari wakandani tentarono di colpirli: le iene si trasformavano in sciami di mosche per poi ricomporsi mentre proiettili e quant’altro attraversavano i leoni come se questi ultimi fossero immateriali salvo dimostrarsi fin troppo concreti quando erano loro ad assalire.

I terribili animali riuscirono anche ad impedire il decollo degli aerei dalle loro piste ed i miliziani ne distrussero poi la gran parte.

Privi del sostegno dell’aviazione i militari wakandani opposero un’accanita quanto eroica resistenza ma era ormai evidente che non sarebbe servita a nulla.

All’esterno del Palazzo Reale Ayo dovette ammettere l’amara verità e si rivolse ad una delle sue fidate guerriere.

<Okoye, prendi con te tutti quelli che puoi e portali in salvo finché siamo in tempo.>

<Io…>

<Non discutere: non resisteremo a lungo e non ha senso morire tutte qui ed oggi. Resisteremo quanto basta per darti il tempo di evacuare più gente possibile, specie i bambini e gli anziani. Vivrai per vendicarci.>

Dal suo sguardo si vedeva che Okoye non era entusiasta ma sapeva anche che Ayo aveva ragione e si mosse.

All’interno del Palazzo Reale W’Kabi in persona era in contatto con tutti i teatri di combattimento. Aveva visto ed udito le sue truppe cedere ed ora sentiva le truppe nemiche irrompere nel palazzo. Con voce cupa si rivolse a Taku il Ministro delle Comunicazioni:

<Non lo credevo possibile ma stiamo perdendo. Tu non sei un guerriero, puoi ancora scappare. Proteggerò la tua ritirata.>

<Dovresti conoscermi meglio, vecchio amico.> ribatté Taku con fierezza <Non intendo scappare. Resterò al tuo fianco fino alla fine. Non permetterò che tu ti prenda tutta la gloria dell’ultima resistenza contro il nemico.>

W’Kabi sorrise. Lui e Taku erano diversissimi come carattere e spesso in disaccordo su molte cose ma nel tempo si era formato tra loro un legame fi rispetto reciproco e lui era fiero di combattere la sua ultima battaglia assieme a lui.

Il portone del salone si infranse e miliziani con le insegne del leone e della iena irruppero all’interno. In prima fila c’era il Leone Nero con al fianco un uomo dalla pelle bronzea, il viso aquilino completato da un lungo pizzo che gli scendeva dal mento, una cicatrice gli arrivava fino alla palpebra dell'occhio destro e con lunghi capelli neri che gli cadevano sulla schiena. Era seminudo, con l'eccezione di una gonnella fatta apparentemente con la pelle di un ghepardo, ed i suoi occhi sembravano ardere di una fiamma smeraldina. In mano portava un bastone nodoso. Accanto a lui c’era una iena ghignante che aveva sul muso una cicatrice identica a quella del suo padrone. W’Kabi capì immediatamente che era uno stregone e forse anche l’architetto della rovine del Wakanda.

<Sei pronto a morire combattendo per il tuo paese, W’Kabi?> gli chiese in tono irridente T’Shan.

<Lo sono da sempre.> ribattè lui con fierezza.

<Spiacente ma non avrai questa soddisfazione.>

Lo stregone batté il suo bastone al suolo e quasi immediatamente W’Kabi, Taku e gli altri furono avvolti da una nuvola di vapore.

<Ma cosa…?> esclamò Taku.

Improvvisamente il mondo intorno a lui sembrò distorcersi. Vide la iena ingigantirsi e balzare verso di lui. Il suo unico occhio sano sembrava eruttare una fiamma verdognola. Urlò o almeno credette di averlo fatto.

Anche W’Kabi stava sperimentando qualcosa di simile. Tentò di reagire ma le braccia sembravano pesare tonnellate e le gambe non erano più in grado di reggerlo.

Uno dopo l’altro gli ultimi difensori wakandani caddero sul pavimento.

L’ultima cosa che W’Kabi udì prima di perdere i sensi fu la sinistra risata della iena.

 

 

Capitale del Wakanda, più tardi.

 

T’Shan, nel suo costume da Leone Nero ma senza maschera, sedeva sul trono di Wakanda.  L’ampia sala del trono era stata ridecorata: le statue del dio Pantera erano state rimosse e sostituite con quelle del dio Leone.

Davanti a lui erano stati portati i membri della Famiglia Reale che erano stati fatti prigionieri ed erano incatenati davanti a lui e costretti in ginocchio.

<Mio affezionato padre, mia cara zia e voi cugini, immagino che vi chiediate quale sarà la vostra sorte >

<Intendi ucciderci?> chiese M’Koni,. Era spaventata ma grata che suo figlio fosse tra quelli che erano riusciti a fuggire.

<Non credo… non ancora almeno.> intervenne S’Yan <Se avesse voluto ucciderci, lo avrebbe già fatto senza tanti complimenti.>

<Come sempre, padre, dimostri di avere un notevole acume. Hai ragione: non morirete… non per il momento. Prima dovrete vedere il vostro mondo crollare e dalle sue ceneri nascere un nuovo Wakanda. Il culto del dio Pantera è stato reso fuorilegge, i soli culti legali ora sono quelli del dio Leone e del dio Iena. Chi rifiuterà di giurarmi fedeltà sarà giustiziato. I primi saranno quel vecchio relitto di N’Gassi, quell’altro vecchio idiota di Zuri e quegli ostinati testoni di W’Kabi e Taku. Le loro esecuzioni saranno eseguite domattina in pubblico come monito per il popolo e chiunque voglia opporsi al nuovo regime.>

“Non ha menzionato Omoro.” pensò S’yan “Questo vuol dire che è riuscito a fuggire., molto bene quel vecchio furbone ha sicuramente un piano.”

<La stessa sorte, toccherà anche a voi a tempo debito, ovviamente.> proseguì T’Shan <Solo un idiota lascerebbe in vita dei potenziali pretendenti al trono attorno a cui potrebbero raccogliersi dei ribelli.> fece un sogghigno divertito ed aggiunse <Parlo dei maschi e di Ramonda e Zuni. Per Shuri, M’Koni, Monica Lynne e le Dora Milaje superstiti ho altri piani in mente… dopotutto un sovrano degno di questo nome deve avere un harem.>

La reazione di Shuri fu di sputargli in faccia.

Lui rise e disse:

<Mi piacciono le donne di temperamento, cugina. Sarai la mia favorita assieme alla mancata moglie del tuo fratellastro.>

Shuri tacque. Avrebbe voluto tanto sapere che ne era stato di T’Challa: dovunque l’avevano portato, era ancora vivo? Lei e gli altri potevano solo sperarlo.

 

 

Capitale del Wakanda, la stessa notte.

 

La notte era scesa sull’unica metropoli della piccola nazione africana, la prima da quando era stata resa schiava. Nella quiete irreale sotto la luce della luna una figura si muoveva eludendo le sentinelle, agile e silenziosa come un felino… ma non era un felino, era un lupo.

Le prigioni di Wakanda non erano mai state così piene. Un’intera ala era stata dedicata ai prigionieri di rango che avrebbero dovuto essere giustiziati l’indomani. In celle vicine erano sistemati i membri del Clan della Pantera.

Improvvisamente le porte delle celle si aprirono.

Perplesso, Joshua Itobo si alzò dal suo giaciglio ed uscì nel corridoio. Riconobbe subito tre figure familiari: Okoye, Omoro…

 <K’Winda?> esclamò.

Sotto la sua maschera il Lupo Bianco sorrise e replico:

<Sorpreso di vedermi qui, cugino? Eppure dovresti sapere che sono un leale wakandano.>

<Hai un concetto strano di lealtà, visto una volta hai tentato di rovesciare T’Challa in combutta con quel pazzo di Achebe.>[2]

<Quella era una questione politica, questa è una questione di sopravvivenza.> tagliò corto l’altro.

<Come hai fatto ad arrivare fin qui senza essere visto e far scattare allarmi?>

<Usando dei tunnel sotterranei che collegano i vari palazzi governativi e portano anche fuori città.  Pochi sanno che esistono, erano un segreto ben tenuto degli Hatut Zeraze.>

<E li usavi per poter torturare in santa pace gli oppositori e poi sbarazzarti di loro senza clamore?>

<Non è il momento di rivangare il passato.> intervenne S’Yan <Sei intervenuto appena in tempo, nipote: noi della Famiglia Reale non correvamo grandi rischi per ora, ma gli altri che vedi sarebbero stati giustiziati domani.>

<Dove sono Shuri e M’Koni?> chiese Okoye <Non le vedo qui.>

<Quel bastardo di T’Shan ha deciso di farne le sue concubine e le ha tenute a Palazzo Reale assieme a Monica Lynne.> spiegò Khanata con voce cupa <Forse in questo momento sta abusando di loro.>

Ci fu un momento di silenzio, poi il Lupo Bianco disse:

<Allora è ovvio che dovrò andare a liberarle.>

 

 

Palazzo Reale del Wakanda, più tardi.

 

Una porta nascosta si aprì nella zona degli appartamenti reali e ne spuntò il Lupo Bianco e dietro di lui Okoye.

<Per fortuna T’Challa non ha fatto murare questo passaggio quando ha sciolto gli Hatut Zeraze. Io lo usavo per conferire in segreto con mio padre e poi con i reggenti.> sussurrò K’Winda.

<Dove pensi che siano le donne?> gli chiese Okoye.

<Può averle chiuse nelle stanze della Regina oppure sono nella sua.>

Si mossero con la massima circospezione era importantissimo non fare il minimo rumore.

Nella sua arroganza, T’Shan aveva allontanato tutte le guardie dalla zona intorno alla camera da letto del sovrano e questo, almeno, era un vantaggio.

Provarono tutte le porte finché non si imbatterono in una chiusa.

<Shuri, M’Koni, siete qui?> chiese il Lupo Bianco.

<K’Winda?> rispose la voce di Shuri <T’Shan ha detto che eri morto.>

<Gli sarebbe piaciuto ma anche lui non è immune dagli errori, per mia fortuna. Dammi un minuto e ti libero, sorellina.>

Tra i talenti di Hunter c’era anche quello di saper scassinare le serrature. Gli ci volle meno di un minuto per aprire la porta. Shuri era in piedi accanto al letto su cui giaceva M’Koni.

<Che le è successo?> chiese Okoye temendo la risposta.

Il tono di voce di Shuri era abbastanza eloquente:

<Quel maledetto la ha…>

<Pagherà anche questo.> tagliò corto il Lupo Bianco <Ora la nostra priorità è portarvi in salvo. Monica è con lui adesso?>

<Sì, povera ragazza.>

<Ok, Okoye, accompagna le ragazze al passaggio segreto, io mi occupo di Miss Lynne.>

<Ma…> obiettò la ragazza.

<Shuri può cavarsela da sola, lo so, ma M’Koni ha bisogno di aiuto e tocca a te proteggerla. Io me la caverò come sempre.>

Forse era un’affermazione azzardata ma non c’era scelta.

Shuri e Okoye aiutarono M’Koni ad alzarsi dal letto e lei mosse qualche passo incerto. Hunter rimase per qualche istante a guardare le donne allontanarsi poi si diresse alla camera da letto del Re.

Entrarvi fu ancora più facile.

T’Shan giaceva sulla schiena e Monica Lynne era raggomitolata in posizione fetale. Erano entrambi nudi e quello che restava dei vestiti della donna era a brandelli ai piedi del letto.

A quanto pareva T’Shan era ancora abbastanza umano da aver bisogno di dormire ma se si fosse svegliato sarebbero stati guai grossi, molto grossi.

Il Lupo Bianco si avvicinò silenziosamente a Monica e le pose una mano sulla bocca temendo che urlasse per la sorpresa e le fece segno di tacere. Gli bastò un secondo per capire che la giovane donna era in stato di shock e che avrebbe dovuto portarla in braccio. La sollevò delicatamente badando a non far rumore. Al suo pudore avrebbe pensato dopo, ora era più urgente portarla in salvo.

Stava per allontanarsi quando una stretta ferrea bloccò il polso del Lupo Bianco.

<Credevi davvero di cavartela così facilmente?> disse una voce alle sue spalle.

T’Shan si era svegliato ed i guai erano arrivati.

 

 

Altrove.

 

T’Challa uscì finalmente dal lungo cunicolo buio nel quale era entrato, ma quando rivide la luce, si ritrovò in un altro luogo che gli era totalmente sconosciuto: se l’inferno del dio Iena era un deserto arido dai cieli rosso sangue, qui sembrava di trovarsi in un paesaggio di montagna.

Era tutto bianco a perdita d’occhio. Si avvertiva una quiete e una sensazione di pace.

<Mokadi, dov’è che siamo qui?> chiese, ma dello spiritello pigmeo non v’era più traccia.

<Al solito ...> sbuffò T’Challa.

Ancora non gli era riuscito di capire la vera natura di quel misterioso ometto.

Si avventurò per quella landa a lui sconosciuta, fino a quando non scorse quella che sembrava una grotta.

Al suo ingresso c’erano due leoni che facevano la guardia.

Le due belve si accorsero immediatamente di lui, e gli si avventarono contro con ferocia.

<Non mi sono fatto sbranare da quelle iene infernali e non intendo di certo lasciarlo fare a voi!> esclamò T’Challa, evitando i due felini con grande agilità.

Non era la prima volta che il re del Wakanda aveva a che fare con animali del genere, conosceva dunque quali fossero i punti deboli delle due bestie.

Per un po’ fu come una danza, con Pantera Nera che saltava a destra e a manca per evitare di venire colpito dai feroci leoni, poi quando uno di essi gli balzò addosso, T’Challa si portò sotto di lui e lo colpì con la lancia che impugnava al costato, trafiggendolo.

Schivò l’assalto dell’altro e, portandosi sopra di esso, lo afferrò per la criniera e, puntando con forza il suo piede contro la base del collo, tirò violentemente la testa del leone all’indietro, provocandogli una frattura.

Senza i due animali di guardia a sbarrargli il cammino T’Challa entrò nella grotta per guardare al suo interno.

Discendendo in profondità vide un leone antropomorfo bianco, incatenato ad una parete.

Nel vederlo la domanda gli uscì di bocca spontaneamente:

<Chi sei tu?>

 

 

CONTINUA

 

 

NOTE DEGLI AUTORI

 

 

            Non c’è molto da dire su quest’episodio a parte qualche nota sui personaggi che vi appaiono:

1)     Khanata, Ishanta e Zuni sono stati tutti creati da Jack Kirby su Black Panther Vol. 1° #o datato febbraio 1978.

2)    W’Kabi è stato creato da Roy Thomas & John Buscema su Avengers Vol. 1° #62 datato marzo 1969.

3)    Taku è stato creato da Roy Thomas & John Buscema su Avengers Vol. 1° #68 datato settembre 1969.

4)    Joshua Itobo e Jiru sono stati creati da Jack Kirby ed è apparso per la prima volta su Black Panther Vol. 1° #7 datato 1978.

5)    Mokadi è stato creato da Don McGregor & Billy Graham Su Jungle Action Vol. 2°#14 datato marzo 1975.

6)    Okoye e Zuri sono stati creati da Christopher Priest & Joe Quesada & Mark Texeira su Black Panther Vol. 3° #1 datato novembre 1998.

7)    M’Koni, alias Mary Wheeler, è stata creata da Ann Nocenti & Chuck Patton su Daredevil Vol. 1° 245 datato agosto 1987.

8)    Raoul Bushman è stato creato da Doug Moench & Bill Sienkiewicz su Moon Knight Vol. 1° #1 datato novembre 1980.

9)    Il Dottor Crocodile è stato creato da Jamie Delano & Alan Davis su Captain Britain Weekly Vol. 2°#9 datato settembre 1985.

10)  Ayo è stata creata da Al Ewing & Kenneth Rocafort su Ultimates Vol. 2° #1 datato gennaio 2016.

11)  Garth lo zombie (da non confondere con Simon Garth lo Zombie) è stato creato da John Byrne su Sensational She-Hulk #34 datato dicembre 1991 ed il suo nome è ovviamente un inside joke.

Nel prossimo episodio… ma perché rovinarvi la sorpresa?

 

 

Carlo & Carmelo

 



[1] Su Jungle Action Vol. 2°#14 (Prima edizione italiana Thor, Corno #2168).

[2] Su Black Panther Vol. 3° #1/12 (in Italia su Cavalieri Marvel #1/12).